Nel 1658 Oltre il Colle appare costituito da cento fuochi (famiglie) e da 654 anime: venti erano i soldati, imposti da Venezia. Si ricordano: S. Bartolomeo e S. Maddalena , come chiese attive, con un entrata di sessanta scudi per ciascuna. Il comune di Oltre il Colle poi aveva una entrata di trecento lire, per affitti. L'industria locale era cosi' specificata: aste, picche, manici da valanghe. Le fucine in funzione erano tre: i mulini poi erano quattro. Notevole era il numero di bovini: trecento, e tra muli e cavalli se ne contavano trentatrè. Vari torrenti e fiumi traggono origine dalla cerchia di monti intorno ad Oltre il Colle. Il Vedra, dall'alpe omonima; il parina, dall'alpe Camplano, tra l'Arera e il Grem. Già in tempi passati, le molte acque servivano per un artigianato locale di fabbri e di mugnai. Mantici, forgie e magli erano in attività nella zona. Chiodi, pale, ferri d'aratro e picconi erano frutto di attività e di commercio. Lo stemma del Comune di Oltre il Colle e' su fondo rosso e azzurro: vi si scorge un piccone da minatore, una fontana che zampilla e una vetta tripartita, con una fascia che reca la scritta "Grimaldo". Secondo la tradizione, costui, della casa dei Grimaldi, sarebbe in fondatore del paese. Gran parte del suolo e' in questi paraggi boschivo: si ha notizia che nel passato vivevano orsi e lupi, tra le selve fitte. Infatti nel 1500 il vicino paese di Serina pagava delle taglie a coloro che cacciavano i pericolosi animali.
Storie antiche
Il Serpente con le Ali
Sembrava un piccolo bimbo in fasce, lungo non più di mezzo metro, invece era uno strano mostriciattolo difficilmente definibile. Non fosse stato per due tozze ali da pipistrello che gli spuntavano appena sotto la testa, lo si sarebbe potuto definire un serpente, ma proprio per via di queste ali era noto a tutti come il serpente con le ali, anche se in verità nessuno l'aveva mai visto volare. Si diceva che apparisse ogni due anni tra le sterpaglie del monte Menna, in alta Val Serina, e che vivacchiasse lassù per tutta l’estate, prima di scomparire con i primi freddi autunnali. Si pensava che dimorasse in una caverna, tra le forre di quella montagna calcarea e poi cadesse repentinamente in un letargo prolungato… Ma il suo risveglio, per quanto tardivo, era annunciato da due segnali inconfondibili: una puzza nauseabonda a metà tra il tanfo delle uova marce e quello dei cadaveri in decomposizione e un continuo ripetersi di fischi talmente acuti da poter superare il suono di cento sirene messe insieme e in grado di far impazzire uomini e animali che cadevano a terra morti con i timpani perforati e il cuore spezzato.Anche i cani, quando ancora si trovavano a grande distanza da quel mostro, ne avvertivano la presenza e se la davano a gambe, emettendo certi guaiti strazianti, come se fossero stati presi a bastonate da una mano invisibile. Gli abitanti dei villaggi che sorgevano alle falde del Monte Menna le avevano tentate tutte per liberarsi da quella presenza molesta, chiamando ripetutamente dei sacerdoti per benedire solennemente quei luoghi. Fu proprio un santo uomo di chiesa, che era salito fin lassù per tentare un ennesimo esorcismo, a vederselo capitare davanti a distanza ravvicinata. Era subito scappato a casa di corsa, ma aveva fatto in tempo a notare ogni particolare della sua strana natura: il mostro aveva la forma di serpente alato e portava in testa una corona che luccicava riflettendo i raggi del sole, inoltre aveva le ali avvolte attorno al collo, come una sciarpa e la coda terminava con un pungiglione. Non si sapeva, però, se fosse anche velenoso, perché nessun uomo o animale era mai stato morsicato e, se anche lo avesse fatto, nessuna delle sue vittime era più stata in grado di raccontarlo. Col passar degli anni il serpente con le ali diventò vecchio e iniziò a prolungare i periodi di letargo e a diradare i risvegli. Per un po’ si risvegliava ogni tre anni, poi ogni quattro e infine non si risvegliò più. Ancora oggi, però, chi passa da quelle parti si sente il cuore tremolare e il respiro diventare affannoso, in compenso il passo si fa leggero e la bocca silenziosa, perché nessuno vuole rischiare di svegliare quel serpente.
Il Drago Vendicativo
Si racconta che molti anni fa, in quel di Oltre il Colle, viveva un drago enorme, che possedeva sette teste simili ai tentacoli di una piovra, ricoperte di squame e di bargigli in perenne movimento. Non era solo nella foresta che allora si stendeva folta sulle pendici del Monte Alben, c'erano altri animali di varie specie, ma era lui il padrone assoluto, il dominatore, il proprietario della fonte dell’immortalità che sgorgava da un anfratto roccioso e alla quale non lasciava avvicinare nessuno. Passeggiava a fatica, per via della sua mole che gli impediva di districarsi nel folto degli alberi, si nutriva di animali selvatici, ma anche di pecore e capre e ogni tanto anche di… carne umana, che inghiottiva con avidità, facendo seguire al pasto un’abbondante bevuta, proprio alla fonte dell’immortalità. Sicuramente ciò gli procurava buona salute, perché non invecchiava mai e, mentre gli altri animali portavano i segni degli anni e scomparivano con il tempo, lui appariva sempre in perfetta forma, forte, sicuro e pieno di vitalità, pronto ad imporre la sua legge di spietato dominatore. I pastori ne erano terrorizzati, ne seguivano da lontano le orme enormi in cui ogni tanto si imbattevano e a bassa voce pronunciavano la parola drago, nel timore di evocarne la temuta presenza. C’era stato un tempo in cui qualcuno, esasperato per i continui soprusi di quell’essere spaventoso, aveva anche provato a dargli la caccia: i pastori più coraggiosi del paese, accompagnati dai più abili cacciatori, erano stati capaci di raggiungerlo nel folto della boscaglia e avevano dato vita ad una feroce battaglia, riuscendo anche a metterlo in difficoltà. Al colmo della zuffa il pastore più coraggioso, armato di accetta, gli aveva addirittura amputato di netto una delle sette teste, mentre i suoi compagni infliggevano per tutto il corpo del mostro profondi colpi di lancia e i cacciatori, sparando all'impazzata, lo riempivano di piombo, ma la testa era prodigiosamente ricresciuta in un batter d’occhio e le ferite provocate dagli spari e dalle lance si rimarginavano con la stessa velocità.
Spaventati da questo straordinario fenomeno, gli assalitori se l’erano data a gambe, inseguiti dal drago che, non essendo riuscito a metter i suoi artigli su di loro, se l’era presa con greggi e mandrie, devastando gli ovili e le stalle e facendo scempio di un gran numero di animali. I lamenti delle bestie furono così forti e copiosi da essere uditi, si disse, in tutta la Valle Brembana e addirittura in qualche paese alle porte di Bergamo, diffondendo dovunque uno sgomento indescrivibile. L'ira provocata da questa strage tra la popolazione di Oltre il Colle non si spense subito, anzi, suscitò negli animi di tutti il desiderio di andare di escogitare qualche stratagemma per eliminare il drago una volta per tutte. Fu così che un bel giorno si vide uscire dal paese un vero e proprio esercito, armato fino ai denti, risoluto ad eliminare quella calamità.
Gli attaccanti, raggiunto il bosco, lo circondarono e si diedero ad incendiarlo, approfittando della sterpaglia che, a fine inverno, era secca e disseminata un po’ dovunque. Spaventato dalle alte fiamme che stavano per raggiungerlo e dal clamore infernale degli assalitori, il drago fu invaso dal panico. Si diede a lanciare fiammate dalla sue sette teste, emettendo nello stesso tempo dei sibili e dei rantoli paurosi, mentre dalle narici usciva un fumo denso e nero e le squame che gli ricoprivano il corpo si rizzavano, come colpite da una scarica elettrica.
Si agitò a lungo in quella posizione, tracciando furiosi segni nell’aria con i suoi artigli acuminati, poi di fronte all’incalzare dei suoi nemici, si rifugiò presso la fonte dell'immortalità e vi si immerse. L'acqua a contatto con quel corpo divenne torbida e scura come l’inchiostro, cominciò a rimescolarsi freneticamente, come se bollisse e nello stesso tempo il drago svanì nel nulla, come dissolto in quel liquido misterioso. Quando i primi attaccanti arrivarono alla fonte non trovarono altro che uno specchio d'acqua, scura, nauseabonda e imbevibile. Del drago non c'era più traccia, ma la gente è sempre stata convinta che sia ancora lì, sommerso da quell’acqua che, proprio per la sua presenza continua a rimanere torbida in qualsiasi stagione, come se fosse perennemente agitata da un'entità misteriosa. Il drago, appunto, che se un giorno si svegliasse e decidesse improvvisamente di uscire dalla fonte farebbe ripiombare la popolazione nel terrore. A questa eventualità è legata un detto tuttora in voga a Oltre il Colle: quando il drago si sveglierà, la frazione di Ca' Bonaldi, che è situata da quelle parti, sprofonderà!
Il mandriano spergiuro
Questa leggenda viene raccontata ancora oggi in varie versioni, leggermente diverse tra loro, dagli anziani di Oltre il Colle, Serina e Roncobello. Ciascuna di queste località indica anche il luogo preciso che fu teatro della vicenda: per quelli di Oltre il Colle si tratta dei pascoli del monte di Zambla, per i Serinesi il monte Grem e per quelli di Roncobello il lago Branchino. Allo stesso modo, secondo gli abitanti di Oltre il Colle, il mandriano spergiuro, protagonista della leggenda, proveniva da Gorno, mentre a sentire quelli di Serina era di Sorisole e, per gli abitanti di Roncobello si trattava di un certo Valle di Serina. Questa triplice versione di una storia pressoché identica, ne denota la popolarità tra le popolazioni dell’alta Val Serina e della vicina Valsecca. Per non far torto a nessuno, ne viene qui esposta una sintesi che assomma le tre versioni, lasciando volutamente indeterminati il paese e i personaggi.
Or dunque, era sorta in quel paese una disputa accanita circa i diritti di possesso di un alpeggio. La maggioranza dei capifamiglia riteneva che tale alpeggio fosse di proprietà comunale e quindi a disposizione di tutti. Non così la pensava un vecchio mandriano, che era forestiero e il cui arrivo in paese, parecchi anni prima, aveva scatenato la discordia, in quanto egli vantava su quel pascolo diritti di esclusiva proprietà. Diritti, osservava, risalenti ai suoi antenati e tramandati in eredità di padre in figlio, fino a lui stesso. Una serie di processi, celebrati davanti al vicario di valle, non erano valsi ad appurare chi fosse il legittimo proprietario, di conseguenza, in mancanza di uno specifico divieto della pubblica autorità e facendosi scudo dei suoi asseriti diritti, il mandriano portava ogni anno regolarmente la sua mandria sull’alpeggio, sordo alle lamentele dei compaesani, i quali dal canto loro non erano ormai più disposti a subire tale situazione, considerandola un vero e proprio sopruso. E così, ogni anno, assieme alla stagione dell’alpeggio si riaccendevano le dispute e non di rado accadeva che qualcuno passasse alle vie di fatto. Allora tra il mandriano prepotente, spalleggiato da figli e parenti e da certi vicini che traevano vantaggio dall’essere dalla sua parte, e qualcuno dei suoi avversari si scatenavano risse tremende, condite con pugni e bastonate. Una siffatta situazione non poteva più continuare e le autorità, ben consapevoli che presto ci sarebbe scappato il morto e desiderosi di risolvere una volta per tutte la complicata questione, deliberarono di invitare i contendenti ad una solenne cerimonia pubblica di giuramento, durante la quale si sperava che sarebbe finalmente emersa le verità.
Tratto dal Libro di Tarcisio Bottani e Wanda Taufer: Racconti Popolari Brembani