Cenni storici di Taleggio

L'origine del nome TALEGGIO, deriva dalla base latina "TILIETULUM" nel significato di "piccolo tiglietto" attraverso una forma di "TILETLUM" diventa poi TILLEGGIO . I primi abitatori furono probabilmente cacciatori o pastori, si dice provenienti dalla vicina Valsassina, che via via trasformarono le basi di pascolo in sedi stanziali. Nel dialetto gli echi di linguaggi prelatini, ligure, retico, celtico, ma tanto, tantissimo latino. I documenti ci portano all'eta' carolingia quando questo territorio fu dato in possesso al vescovo di Milano. Poi l'arcivescovo Roberto Visconti lo cedette in feudo a Bernabo' e Galeazzo Visconti. Proprio sotto Bernabo', nella seconda meta' del Trecento, la valle dovette mandare come tributo a Milano 200 forme di formaggio "bene stationatum".

Costruzioni tipiche a Fraggio
La posa, che duro' poco, ci da' la chiave di lettura dell'attivita' economica principale dei valtaleggini lungo i secoli che e' stata, e in parte lo e' ancora, quella dell'allevamento del bestiame e della lavorazione del latte, attivita' che ha portato i bergamini valtaleggini sulle strade delle trasumanze e a installarsi un po' ovunque nella fertile piana lombarda, specie nel milanese e nel lodigiano, e ha regalato al mondo un formaggio tenero che e' noto, appunto, come Stracchino Taleggio. La chiesa piu' antica e' considerata quella di S. Ambrogio di Pizzino, le qui origini vengono fatte risalire all'anno mille e dipendeva dalla Pieve di Primaluna, in Valsassina. Sicuramente anteriore al 1300 anche la chiesa di S. Bartolomeo, antica parrocchiale di Vedeseta, citata con S. Giacomo di Peghera, nel Liber Notitiae Sanctorum del 1280 di Goffredo da Bussero. Nel 1566 S. Carlo Borromeo, da poco arcivescovo di Milano, fece visita a tutte le parrocchie della Valle Taleggio, comprese quelle che ormai da piu' di 1 secolo facevano parte della Serenissima Repubblica Veneta. La storia politica del tardo Medioevo e', infatti, complicata: lungo il 1300 e il 1400 le antiche famiglie della valle presero parte alle infinite lotte tra guelfi e ghibellini, eressero torri di cui oggi non abbiamo tracce e si combatterono fieramente. Per i guelfi parteggiarono i Salvioni, gli Offredi e i Bellaviti di Sottochiesa, Peghera e Pizzino e le famiglie di Olda; con i Ghibellini, invece, si schierarono gli Arrigoni i Quartironi, i Rognoni di Vedeseta. Roccaforte di quest'ultimi la torre d'Orlando a Vedeseta e un fortilizio al Pianchello di Regetto, i guelfi avevano il loro riferimento in quello che le antiche mappe riportano come "castrum picini", il castello di Pizzino.Una parentesi nelle lotte fratricide sembro' aprirsi quando nel 1358 (o , per altri, 1368) nella contrada Lavina di Vedeseta, alla presenza del delegato di Bernabo' Visconti, gli esponenti delle maggiori famiglie non solo della Valle Taleggio ma anche della Valle di Averara si diedero, "in nomine Domini", i primi Statuti di autonomia che prevedevano, tra le molte cose, anche una conduzione unitaria delle due vallate. Ma pochi anni dopo, nel 1393 i guelfi bruciano Vedeseta e gli Arrigoni fanno scattare la rappresaglia su Peghera agli inizi del 1400 entra in campo la Serenissima Repubblica Veneta e le divisioni tra le famiglie diventano anche divisioni territoriali. I confini diventano confini stato. Tra Ducato di Milano e Serenissima si venne a primi accordi territoriali il 1428 sanciti poi nella pace di Ferrara (1433) e, forse, dalla posa dei primi cippi confinari (i termenu'). Ma una grave violazione avvenne poco dopo (1438) con l'assedio del castello di Pizzino da parte dei ducali. La clamorosa rotta di quest'ultimi, soccorsi nella foga dagli Arrigoni di Vedeseta, procurera' a questa famiglia, come ricompensa ampi privilegi e esenzioni (che saranno a lungo confermati).

Fontana a Olda
La Serenissima fara' altrettanto con le famiglie guelfe di Taleggio. La pace di Lodi (1454) dara' un assetto quasi definitivo alle divisioni territoriali anche se le questioni di confine come testimoniato dalla sovrabbondante documentazione archivistica e da antiche preziose mappe, ci riproporranno, caparbiamente, fino all'avvento di Napoleone, con dispetti, contestazioni, sradicamento e spostamento di cippi, e sopralluoghi dei rappresentanti dei due stati che non fruttavano mai accordi di lunga durata. Nella divisione Vedeseta, stretta tra Taleggio e i comuni della Valsassina riuscira' a conservare amministrativamente la transera o strada degli otto cavezzi (circa 20 metri), piccolo corridoio di collegamento tra la sua parte abitata e gli altri pascoli settentrionali che occupavano quasi per intero la testata della valle e si spingono verso le Valli Averara e Torta.

Con l'avvento della Repubblica Cisalpina (1797) cadono i confini di stato e anche le autonomie e i confini comunali e Taleggio e Vedeseta vengono accorpati per decreto in un unico municipio. Ma per poco. Dopo la sconfitta Napoleonica di Waterloo si ricostituiscono immediatamente i due tradizionali comuni. Che lungo l'Ottocento vedono consolidarsi un fenomeno che aveva preso l'avvio gia' nel secolo precedente, sotto Maria Teresa d'Austria: aumenta la popolazione e anche la ricchezza (relativa, ben s'intende: l'emigrazione e' stata una tenace compagna della gente di Valtaleggio almeno dal 1500 in poi) rappresentata dall'incremento del bestiame. Di questa crescita ci e' stata lasciata testimonianza nelle centinaia e centinaia mirabili edifici rurali (stalle, baite, portici, cascine) che ancora oggi, haime' putroppo sempre meno punteggiano il territorio. Il novecento, infatti, con le sue vorticose trasformazioni, ha interessato anche questa vallata. Se ha portato strade migliori, la vaccinazione di massa, la scolarizzazione, case piu' confortevoli e un deciso miglioramento del livello di vita, ha portato anche, sopratutto a partire dal secondo dopoguerra, all'abbandono delle attivita' tradizionali, all'inurbamento e la conseguente abbandono del territorio. Molti sono i manufatti gia' andati perduti, parecchi agglomerati rurali o alpestri come il Fraggio o Giambello, Rocalli o Pra' Tajè, Prato Giugno o Zücher o Ponte dei Senesi sono quasi completamente in rovina, tanti sono gli edifici che sono stati, a volte felicemente altre meno, trasformati in funzione abitativa-turistica.

Ma resistono i segni della storia e di una cultura contadina che ha plasmato in modo originale il territorio. Il reticolo delle mulattiere, i terrazzamenti con i muretti a secco, le tribuline o santelle affrescate ai crocicchi o lungo gli antichi percorsi, i cippi confinari, le finestrelle in pietra, i comignoli solitari, le abbeverate in terrabattuta, i lavatoi di sasso, le torri dei roccoli, le piazzette in acciottolato: tutto questo, almeno in parte, resiste e merita di essere veduto. Meritano tutte una piccola visita le chiese anche se rifatte piu' volte causa i cambiati bisogni o per ragioni di statica (S. Lorenzo del Fraggio la piu' antica e intatta, S. Giacomo di Peghera quella con il gioiello piu' prezioso, un polittico di Palma il Vecchio) , meritano un passaggio non distratto tutti i paesi. Sopratutto meritano di essere visti, prima che sia troppo tardi gli ultimi esemplari di quelli che insieme allo stracchino Taleggio rappresentano la elaborazione piu' originale di questa vallata, cioe' gli edifici rurali a piöde. A volte singoli, spesso accostati, mirabilmente inseriti nel territorio, piccole dimensioni, un piano terra per ospitare le bestie, un primo piano, con un curiosissimo ingresso che si restringe in basso, per conservare il fieno, aperture simili a feritoie, niente gronde. Sopratutto un tetto particolarissimo fatto di pesanti lastre di pietra calcare, dello spessore anche di 6-7 centimetri, appoggiate orizzontalmente, a scalare, una sopra l'altra: una verticalita' incredibile e peso enorme che veniva scaricato sui robusti muri laterali. Uno spettacolo di equilibrio, di forza e di armonia che e' sempre piu' difficile contemplare. Per le difficolta' tecniche che la manutanzione di questi edifici comporta, per i costi spropositati e per la latitanza degli aiuti.